mercoledì 2 novembre 2011

Alcune cose sull'incontro del 28

Carissime/i,

vorrei dire alcune cose sul nostro incontro, scritte il giorno dopo il suo svolgimento. Più volte, nel corso della discussione, sarei voluto intervenire, ma mano a mano si aggiungevano questionie spunti e alla fine il marmellatone dei miei pensieri mi ha schiacciato. Lo faccio ora, provando a mettere in fila alcune cose di cui mi sento abbastanza sicuro e altre su sono più incerto.

1. dopo aver nottetempo valutato i pro e i contro, sono arrivato alla conclusione (!) che l’iniziativa è stata molto positiva. Su vari parametri: ho imparato delle cose, me ne sono venuto via con diverse idee (certe, meno certe, decisamente dubbiose, etc.) e molta voglia di fare. Non è cosa che capiti di sovente negli incontri della sociologia italiana. Una volta di più, vorrei esprimere un grande ringraziamento, in primo luogo, a coloro che l’hanno organizzata (il mio nome risulta tra gli organizzatori locali, e ne vado orgoglioso, ma in realtà hanno fatto tutto gli altri), ai relatori e a tutti quelli che sono intervenuti.


2. mi convince moltol’idea, circolata in diversi interventi, di costituirsi come uno spazio che lavora cercando di tenere insieme il più possibile la ‘questione professionale’ (la valutazione, il reclutamento, i meccanismi di carriera, etc.) e la ‘questione del ruolo pubblico’ della sociologia italiana (la capacità di intervenire autorevolmente nel dibattito pubblico, di produrre una forme di discussione, ricerca e intervento sulle trasformazioni oggetto del nostro stesso lavoro, etc.), evitando che il primo aspetto diventi la nostra ossessione, senza per questo dimenticare che la la seconda ha (anche) stretti legami con la prima. Che sia attraverso reti di ricerca esistenti e/o da promuovere, che sia attraverso l’identificazione di una tematica su cui preparare il (o parte del) prossimo incontro o altre modalità ancora, comunque mi pare la direzione più promettente. E l’atmosfera che circolava il 28 mi pare quella giusta perché tale spazio si configuri come vivace, plurale, aperto…

3. più che chiedermi che soggetto è quello cui stiamo dando forma, dove va, etc., mi risulta più utile –kennedyanamente – chiedermi cosa posso fare io dentro il perimetro di quello spazio, perché abitarlo diventi cosa (scientificamente, culturalmente, relazionalmente) desiderabile e fruttuosa. Allora mi è subito chiaro che io posso essere poco utile alla discussione su procedure e meccanismi di valutazione, reclutamento e dintorni. E’ un terreno importante, lo so; ma quando si gira attorno a questi argomenti mi sento un po’ come Marx (Groucho, ovviamente), quando diceva che non avrebbe mai voluto far parte di un club che avesse accettato uno come lui. La sensazione, un poco diversa da quel che intendeva Marx, è che a volte l’enfasi su questi temi sembra quasi partire dalla certezza che noi siamo quelli bravi, che sanno come si fanno le cose e le fanno in modo eccellente. Ecco – faccio coming out – io non mi sento così eccellente e quindi, quando alcuni interventi facevano intravedere la propensione a costruire uno spazio in cui i bravi fanno vedere agli altri come si fanno le cose, e fissano le regole perchè tutti facciano così, mi dicevo: mi sa che ora mi chiedono le credenziali e ci accorgiamo che non posso far parte del club.

4. quando invece alcuni – molti – interventi mostravano un percorso teso, in sostanza, a consolidare, promuovere, moltiplicare quegli aspetti che Terranova indicava come le dimensioni positive della nostra pur sgarrupatissima situazione universitaria italiana e, magari, ad esigere che venissero introdotti quelli positivi della sua esperienza inglese (evitando cioè di curare i lati negativissimi della situazione nostrana con quelli altrettanto negativi made in UK), ecco che mi apparivano i contorni di un club di cui anche io potrei far parte e in cui potrei rendermi utile; una comunità di comunità (il plurale è irrinunciabile, considerando i differenti interessi di ricerca, le diverse cornici epistemologiche, metodologie e proseguendo) seriamente impegnata a dilatare il patrimonio cognitivo attraverso cui una determinata società interpreta se stessa eaffronta i problemi che si generano al suo interno, ne produce analisi autorevoli, combatte la doxa...

5. allora credo che, a partire dalla pratica della “disobbedienza” ad appartenenze date, come è stato detto, e dall’abbandono della logica delle componenti – che mi paiono condizioni minime per entrare dentro lo spazio in questione – si possano creare iniziative e opportunità importanti, soprattutto per i giovani, per le quali perfino io potrei dare un contributo utile.

Vando Borghi (Università di Bologna)

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