1.
Introduzione
Il
post di Martinotti apre la discussione sul Forum Treccani. Il punto di partenza
di Martinotti è che:
“dal
punto di vista del riconoscimento nelle massime istituzioni di ricerca (CNR,
Consiglio Nazionale delle Ricerche e MIUR, Ministero dell’Istruzione,
Università e Ricerca), la situazione della sociologia è praticamente la stessa
di quella dell’anno in cui mi sono laureato, il 1960; e cioè zero. Non parlo
ovviamente di singoli sociologi, (…) ma della mancanza di una unità
disciplinare istituzionale riconosciuta che permetta lo sviluppo della
disciplina”.
La
domanda di fondo, che da il titolo all’intervento di Martinotti, è se tale
situazione sia stata causata da una volontà omicida, o da un suicidio della
disciplina.
Ora, rileggendo
tutti gli interventi apparsi sul Forum e poi sul Blog “Per la sociologia”, ci
pare che la risposta prevalente sia la seconda: ci siamo innanzitutto ammazzati
con le nostre stesse mani. E, quindi, prima di lamentarci vediamo di iniziare a
cambiare le cose in casa nostra.
Quali
le direzioni che questo cambiamento dovrebbe assumere? Le risposte, non sempre
univoche e spesso contrastanti, indicano:
1) il nostro
organizzarci per grandi correnti, precisamente le tre componenti, che si
rapportano non come scuole di pensiero o scuole intellettuali, ma solo sulla
base di scambi, lealtà, rapporti di forza, convenienze e connivenze;
2)
la debolezza della nostra Associazione professionale, che non contrasta queste
pratiche ma ne è parallizzata;
3)
la scarsa internazionalizzazione della ns produzione scientifica;
4)
la scarsa selettività del sistema di reclutamento.
Questi
e altri temi vengono elaborati nella discussione, con particolare enfasi verso
la proposta di correttivi e tentativi di soluzione dopo lo scambio tra Mario
Morcellini e Barbera-Pisati-Santoro.
2.
Dalla denuncia alla proposta: indignarsi non basta
Quel
che è interessante sottolineare è che tutti gli interventi che seguono questo
scambio sottolineano la necessità di uscire dallo stadio della semplice
denuncia e intraprendere qualcosa di operativo ed efficace. In parallelo,
alcuni dei punti elencati prima vengano ulteriormente elaborati:
1) Riguardo le
componenti, ciò che si auspica non è la scomparsa di corpi collettivi (sotto
forma ad esempio di “scuole” o anche di aggregazioni intellettuali e
accademiche temporanee, difficilmente eliminabili dalla struttura sociale della
scienza sociologica come di qualunque altra scienza), ma una loro diversa
costituzione e organizzazione, una differente legittimazione, e soprattutto una
loro migliore integrazione all’insegna di una politica della scienza non basata
esclusivamente sui rapporti di forza, sulle convenienze (e connivenze)
concorsuali e sulle reti verticali e gerarchiche che attualmente le animano. E
ciò che si chiede all’AIS è un’azione chiara e forte nel promuovere questa
diversa costituzione, che possa rendere la stessa una associazione
professionale credibile e funzionale, capace di costruire identità collettiva e
di difendere la dignità della disciplina sociologica.
2) Una prima proposta
concreta è di istituire un blog in cui vengano
sistematicamente aperti degli spazi per commentare ciascun concorso espletato
nelle discipline sociologiche, sicché valutazioni e commenti siano
potenzialmente postati non da qualche singolo critico auto-elettosi censore, ma
dall’intera comunità, in un libero dibattito in cui ciascuna opinione può
essere controbattuta da opinioni opposte. Ai blogger spetterebbe solo il
compito di amministrare l’apertura e chiusura e di censurare i post ingiuriosi
e di non pertinenza tematica. Ciò costituirebbe è un luogo in cui ciascun
commissario può conservare o perdere la faccia.
3) Altri contributi sottolineano come il tema delle reputazione
riguardi non solo i commissari, ma tutta la comunità sociologica. L’urgenza
segnalata dai post riguarda la costituzione di reali luoghi di confronto, di scambio
e di riconoscimento delle competenze sociologiche. Luoghi, cioè, dove si
costruisce la “chiara fama” dello studioso. A riguardo, le componenti
impediscono questo riconoscimento perché funzionano da formidabili riduttori
della complessità intellettuale. Impediscono, cioè, di leggerci reciprocamente,
di conoscerci, apprezzarci e criticarci come studiosi.
4) Se
una prima famiglia di proposte operative insiste, come questa, sulla necessità
di ricostruire l’efficacia della reputazione come meccanismo regolativo
(nessuna comunità scientifica può farne a meno del resto) altri argomentano che
la semplice pubblicizzazione dei concorsi rischi di diventare una sorta di
contentino. La perdita di reputazione pubblica non funziona con chi non ha
alcuna credibilità scientifica da perdere. Ci si dovrebbe concentrare
soprattutto sulla ricerca di strumenti per sanzionare i comportamenti che
violano palesemente non solo la legge ma anche la "razionalità
scientifica", che dovrebbe essere il cardine del lavoro quotidiano dello
scienziato/sociologo. Tra le
sanzioni, abbiamo a disposizione le relazioni di minoranza nei concorsi e nelle
valutazioni di conferma in ruolo. Ne esistono altri?
5)
Nel dibattito si è ricordata poi la necessità di istituire un comitato
d’appoggio per i ricorsi al TAR per aiutare e sostenere i giovani studiosi che
scelgano di rivolgersi alla magistratura. L’argomento è che senza la
magistratura non verremo mai a capo della situazione perché le componenti
accademiche hanno un potere intimidatorio e di ricatto troppo grande che può
essere intaccato soltanto da una combinazione di percorsi culturali,
amministrativi e penali.
Nessuno
crede che la leva principale per regolare una comunità scientifica sia solo il
ricorso alla magistratura. Del resto, di fronte a comportamenti che lo
richiedono, non bisogna temere la denuncia. I panni sporchi, quelli veramente
lordi, non si possono lavare in casa. Gli illeciti vanno sanzionati con gli
strumenti adeguati e chi si fa carico di una denuncia va sostenuto con tutti i
mezzi possibili. Non ostracizzato.
6) Vi
sono poi stati interventi che chiamano in causa la necessità di cambiamenti del quadro istituzionale più
ampio e di medio-lungo periodo. Si tratta di proposte interessanti e meritevoli
di discussione (ad es. eliminazione dei concorsi e sostituzione con procedure
di assunzione diretta) ma che in questa sede interessano soprattutto perché
sollevano una domanda: la nostra associazione professionale e la nostra
rappresentanza al CUN sono in grado di farsi carico di queste e altre analoghe
istanze? Come migliorare la capacità di lobbing dei sociologi? Che rapporto c’è
tra l’associazione professionale e il CUN? Quanto le decisioni prese al CUN
dalla nostra rappresentanza si raccordano con tutta la comunità sociologica? L’AIS
svolge bene questo ruolo di raccordo?
7) È chiaro poi che sia i meccanismi reputazionali che quelli sanzionatori funzionano solo in presenza di alcuni, comuni, elementi di contesto. Il primo è una sana propensione a valutare criticamente e senza timori il lavoro professionale e scientifico dei propri pari. La realtà, lamentano alcuni interventi, va in direzione opposta: le riviste accademiche italiane pubblicano spesso lavori impresentabili; un gruppo sempre più folto di “editori” compiacenti stampa – spesso a pagamento – quantità industriali di monografie zoppicanti perfino sul piano tipografico; i convegni AIS non brillano per capacità di selezionare i contributi migliori, applicando la regoletta del tre nella selezione degli interventi (a prescindere dal valore di chi parla).
8) Un’ultima proposta riguarda la lotta alla pratica della “citazione miope”. Su questo aspetto, nelle riviste e ancor più nelle attività di formazione dei giovani studiosi ciascuno di noi può fare qualcosa, semplicemente contrastando questo costume.
7) È chiaro poi che sia i meccanismi reputazionali che quelli sanzionatori funzionano solo in presenza di alcuni, comuni, elementi di contesto. Il primo è una sana propensione a valutare criticamente e senza timori il lavoro professionale e scientifico dei propri pari. La realtà, lamentano alcuni interventi, va in direzione opposta: le riviste accademiche italiane pubblicano spesso lavori impresentabili; un gruppo sempre più folto di “editori” compiacenti stampa – spesso a pagamento – quantità industriali di monografie zoppicanti perfino sul piano tipografico; i convegni AIS non brillano per capacità di selezionare i contributi migliori, applicando la regoletta del tre nella selezione degli interventi (a prescindere dal valore di chi parla).
8) Un’ultima proposta riguarda la lotta alla pratica della “citazione miope”. Su questo aspetto, nelle riviste e ancor più nelle attività di formazione dei giovani studiosi ciascuno di noi può fare qualcosa, semplicemente contrastando questo costume.
Anche
in questo caso le cose possono migliorare solo attraverso azioni individuali e
assunzioni di responsabilità collettive.
In
sintesi, si delineano quindi alcune linee di intervento per la riforma della
comunità scientifica: soluzioni di lungo periodo e soluzioni di breve periodo;
moral suasion/effetti reputazione e sanzioni/strumenti formali. Tra gli
strumenti formali, si distinguono quelli interni alla comunità scientifica
(relazioni di minoranza nei concorsi e nella commissioni di conferma) e quelli
esterni (denuncia pubblica).
L’AIS,
se intende cambiare rotta, deve contrastare la “tabellina del 3”, sia nelle
pratiche di governo che vita scientifica delle Sezioni. Ma anche in occasione
delle elezioni del Direttivo e Presidente, che dovrebbe non seguire più la
rotazione tra componenti, ma la logica del consenso e della chiara fama
intellettuale.
3. Sei
questioni principali
Queste proposte prendono le mosse
dall’individuazione di sei questioni principali.
1) Problema dei concorsi.
La questione della scarsa selettività del
sistema di reclutamento ha catalizzato i momenti più accesi del dibattito. Sono
state proposte varie iniziative per “mettere sotto tutela”, per così dire, le
attività delle commissioni. Tuttavia, salvo rari casi, s’è guardato al passato,
più che al futuro.
Ora stanno per avviarsi le nuove procedure
di valutazione comparativa. Il nuovo meccanismo messo a punto dalla legge è
potenzialmente eversivo rispetto agli equilibri e agli accordi raggiunti dalle
componenti col meccanismo precedente.
Si apre quindi una fase di transizione. Si
apre contestualmente la possibilità di gestire la transizione, a cui le
componenti - ci si può scommettere - si stanno già attrezzando. Per evitare che
le componenti riadattino dinamiche meramente spartitorie al nuovo meccanismo
dei concorsi è necessario mettere in atto delle iniziative capaci in qualche
modo di vincolarle. Per esempio, anche solo una vigilanza perché vengano
effettivamente rispettati i criteri minimi fissati per legge sarebbe un passo
avanti rispetto alle situazioni estreme. In ogni caso, una parte di questo tema
sfugge all'orizzonte degli interventi che possano essere promossi da questa
assemblea e ci conduce al secondo dei problemi cardinali che sono emersi.
2) Problema della cornice
giuridico-amministrativa.
Molti hanno riconosciuto che la cornice
giuridica e amministrativa in cui ci troviamo a lavorare nell’università
italiana (valore legale del titolo di studio, pretesa universalistica dei concorsi, sistema elettorale
per la nomina delle commissioni) non facilita la coltivazione né la
trasmissione di buone pratiche, e che quindi per avviare una seria riforma del
sistema sarebbe necessario intervenire su quella cornice, anzitutto sulle leggi
di reclutamento universitario.
La questione principale che si solleva a
questo proposito è quella del soggetto capace di un tale intervento. Sarebbe
necessario che gli organismi di rappresentanza della comunità disciplinare si
facessero promotori, in rete con organismi di rappresentanza di altre comunità
disciplinari, di un'azione ai livelli più alti per incidere sul piano
governativo. Con questo si apre terzo problema cardinale, ovvero il
3) Problema dell’Ais.
Nella gestione della transizione si
riconosce generalmente, di solito lo si dà per scontato, che il ruolo attivo
vada affidato a un soggetto collettivo di rappresentanza. Ciò chiama in causa
direttamente l'Ais, cui si imputa da parte di alcuni di essere poco più di un
tavolo di concertazione tra le componenti, e quindi inadeguata a rappresentare
la comunità disciplinare e a gestire la transizione verso una “comunità
scientificamente rigorosa, produttiva, utile” (per citare il blog).
La domanda diffusa è se questo ruolo spetti
a un'Ais nuova o a una nuova Ais, a un'Ais rinnovata nello spirito e nelle
pratiche o a una nuova associazione indipendente. Il dilemma è arduo, perché la
prima soluzione sembra difficile da raggiungere, la seconda sembra destinata a
sfociare in un duopolio del tipo di quelli esistenti in altre discipline
storico-sociali. In ogni caso si ha la percezione che nel corso del dibattito
l’importanza attribuita al problema dell’Ais sia andata progressivamente
affievolendosi, in particolare dopo l’aperto e produttivo intervento del suo
presidente, che ha preannunciato iniziative dell’associazione in questa
direzione.
4) Problema del ricambio generazionale.
È evidente dalla successione degli
interventi che il dibattito nasce da un ricambio generazionale in corso, e che
la generazione dei “padri” se ne tiene perlopiù alla larga, per vari motivi.
La rinascita della sociologia italiana
sembra dover passare attraverso un ricambio generazionale. Ma questo ricambio è
quello che riguarda l’attuale generazione dei 40-50enni, o quello dei
cosiddetti “giovani”? Nel corso del dibattito sono state presenti, più o meno
surrettiziamente, entrambe queste ipotesi. È chiaro che si tratta di due
circostanze molto diverse, nelle premesse e soprattutto nelle conseguenze.
La prima ipotesi presenta un limite: che la
generazione di mezzo (la mia generazione), nonostante sia stata l’animatrice di
questo dibattito, è tuttavia pesantemente compromessa col sistema che si cerca
di cambiare, nel quale siamo tutti professionalmente cresciuti e grazie al
quale abbiamo fatto carriera.
La seconda ipotesi sconta da parte sua il
difetto che i “giovani” non hanno finora brillato per la loro presenza, spesso
appaiono disinteressati delle questioni del governo del sistema, sembrano fin
dal principio adagiati in una consuetudine che non concede loro alcuno spazio
decisionale autonomo (si fa quello che suggerisce il capo).
5) Problema del
sistema della scienza
Tutte le diagnosi concordano sul fatto che
la sociologia italiana soffre di un deficit di scientificità rispetto agli
standard internazionali. Per ovviare a tale deficit, diversi interventi
suggeriscono l'opportunità di fare ricorso all’introduzione nella nostra
comunità disciplinare di correttivi sotto forma di vincoli sistemici al
comportamento dei singoli.
La logica è quella dei meccanismi regolativi
di tipo sistemico: doversi assoggettare a dei vincoli per perseguire i propri
scopi. Dovendolo fare, i singoli sarebbero costretti, a prescindere dalle virtù
individuali, a coltivare comportamenti consoni agli standard internazionali.
In questa direzione sono due i problemi da
affrontare:
a) quello di individuare quali possano
essere tali vincoli sistemici (tendenzialmente si fa riferimento al modello
della peer review e all’estensione a tutti i momenti dell’attività scientifica
di simili meccanismi reputazionali), e
b) quello di individuare delle buone prassi
che siano utili a promuovere la nascita ed efficacia di tali vincoli nella
comunità disciplinare.
6) Problema della cultura della scienza
In alternativa, oppure in maniera
complementare rispetto al problema del sistema della scienza, molti ritengono
che il problema italiano derivi fondamentalmente da un deficit di cultura della
scienza. Un deficit di ordine deontologico ed epistemologico.
Si ritiene allora che per uscire dalla
prassi consolidata vadano rinforzati nei singoli studiosi quei valori che sono
considerati essenziali nell'ethos scientifico, come il rigore e l’universalismo
nella ricerca, o la Sachlichkeit, l’oggettività senza compromessi,
nell’esercizio della critica tra pari.
Attribuire dei contenuti effettivi e
condivisi all’ethos della scienza forse non è facile, come ha dimostrato anche
il lungo dibattito intorno ai quattro imperativi mertoniani, ma si può fare.
Ben più difficile è passare da imperativi
deontologici sulla carta a comportamenti virtuosi nella vita quotidiana.
Nel dibattito s’incontrano proposte di
iniziative atte a promuovere effettivamente comportamenti virtuosi nella nostra
comunità disciplinare, di solito circoscritte però alla buona volontà di chi ci
crede (per es.: la peer review dei giovani su base volontaria).
4. In
conclusione
Il dibattito
Treccani-Blog mostra che sono comunque necessarie proposte tecniche. Siamo
tutti consapevoli che il cambiamento incomincia da questioni valoriali, ma
passa soprattutto attraverso proposte tecnico-operative sorrette da soggetti
collettivi e da assunzioni pubbliche di responsabilità individuale.
Ricordiamoci che tutti noi abbiamo responsabilità personali, per il modo in cui
ci comportiamo. Certo diversamente graduate, ma nessuno si deve chiamare fuori.
Ad esempio,
alcuni hanno richiamato la necessità di una qualche condivisione di
criteri minimi per l’abilitazione nazionale, altrimenti, come in passato si
creeranno dinamiche che porteranno l'esito del "todos caballeros".
Bisognerebbe quindi avviare un serio confronto sui requisiti minimi per fascia,
e studiare gli scenari che potranno realizzarsi se un gruppo di
“sottoscrittori” entrasse nelle commissioni di abilitazione. Chi è contro e chi
è favore dovrebbe dirlo pubblicamente e il lavoro delle commissioni dovrebbe
essere monitorato di conseguenza. Anzi, qui un primo compito per il futuro blog
sui concorsi.
Un’ultimissima
questione che ci sta particolarmente a cuore, anche considerando il tipo di
adesioni al blog “Per la sociologia”. Se il rinnovamento della sociologia
italiana passa, in primo luogo, da chi è già “all’interno” della professione,
questo rinnovamento avrà chances se saprà valorizzare e promuovere,
con tutti i mezzi pensabili e possibili, un ricambio generazionale di alto
livello. Ma il ricambio generazionale, da solo, non basta. Ciò che si chiede
alle nuove generazioni è innovazione nei comportamenti, capacità di affrancarsi
dalle reti verticali e dalle pratiche deleterie che hanno rovinato la nostra comunità
sociologica.
Certo
può richiedere anche conflitto, intra e intergenerazionale, ma di questo non si
deve avere paura. L’organizzazione sociale della scienza non deve temere il
conflitto, ma piuttosto promuovere la fairness anche attraverso il conflitto.
Filippo
Barbera (Università di
Torino)
Paolo Volontè (Politecnico di Milano)
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