giovedì 3 novembre 2011

L'incontro del 28: le relazioni/1. Dal Forum Treccani al progetto "Per la sociologia"


1. Introduzione

Il post di Martinotti apre la discussione sul Forum Treccani. Il punto di partenza di Martinotti è che:

“dal punto di vista del riconoscimento nelle massime istituzioni di ricerca (CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche e MIUR, Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca), la situazione della sociologia è praticamente la stessa di quella dell’anno in cui mi sono laureato, il 1960; e cioè zero. Non parlo ovviamente di singoli sociologi, (…) ma della mancanza di una unità disciplinare istituzionale riconosciuta che permetta lo sviluppo della disciplina”.

La domanda di fondo, che da il titolo all’intervento di Martinotti, è se tale situazione sia stata causata da una volontà omicida, o da un suicidio della disciplina.

Ora, rileggendo tutti gli interventi apparsi sul Forum e poi sul Blog “Per la sociologia”, ci pare che la risposta prevalente sia la seconda: ci siamo innanzitutto ammazzati con le nostre stesse mani. E, quindi, prima di lamentarci vediamo di iniziare a cambiare le cose in casa nostra.

Quali le direzioni che questo cambiamento dovrebbe assumere? Le risposte, non sempre univoche e spesso contrastanti, indicano:
1) il nostro organizzarci per grandi correnti, precisamente le tre componenti, che si rapportano non come scuole di pensiero o scuole intellettuali, ma solo sulla base di scambi, lealtà, rapporti di forza, convenienze e connivenze;
2) la debolezza della nostra Associazione professionale, che non contrasta queste pratiche ma ne è parallizzata;
3) la scarsa internazionalizzazione della ns produzione scientifica;
4) la scarsa selettività del sistema di reclutamento.

Questi e altri temi vengono elaborati nella discussione, con particolare enfasi verso la proposta di correttivi e tentativi di soluzione dopo lo scambio tra Mario Morcellini e Barbera-Pisati-Santoro.


2. Dalla denuncia alla proposta: indignarsi non basta

Quel che è interessante sottolineare è che tutti gli interventi che seguono questo scambio sottolineano la necessità di uscire dallo stadio della semplice denuncia e intraprendere qualcosa di operativo ed efficace. In parallelo, alcuni dei punti elencati prima vengano ulteriormente elaborati:

1)   Riguardo le componenti, ciò che si auspica non è la scomparsa di corpi collettivi (sotto forma ad esempio di “scuole” o anche di aggregazioni intellettuali e accademiche temporanee, difficilmente eliminabili dalla struttura sociale della scienza sociologica come di qualunque altra scienza), ma una loro diversa costituzione e organizzazione, una differente legittimazione, e soprattutto una loro migliore integrazione all’insegna di una politica della scienza non basata esclusivamente sui rapporti di forza, sulle convenienze (e connivenze) concorsuali e sulle reti verticali e gerarchiche che attualmente le animano. E ciò che si chiede all’AIS è un’azione chiara e forte nel promuovere questa diversa costituzione, che possa rendere la stessa una associazione professionale credibile e funzionale, capace di costruire identità collettiva e di difendere la dignità della disciplina sociologica.

2)  Una prima proposta concreta è di istituire un blog in cui vengano sistematicamente aperti degli spazi per commentare ciascun concorso espletato nelle discipline sociologiche, sicché valutazioni e commenti siano potenzialmente postati non da qualche singolo critico auto-elettosi censore, ma dall’intera comunità, in un libero dibattito in cui ciascuna opinione può essere controbattuta da opinioni opposte. Ai blogger spetterebbe solo il compito di amministrare l’apertura e chiusura e di censurare i post ingiuriosi e di non pertinenza tematica. Ciò costituirebbe è un luogo in cui ciascun commissario può conservare o perdere la faccia.

3)  Altri contributi sottolineano come il tema delle reputazione riguardi non solo i commissari, ma tutta la comunità sociologica. L’urgenza segnalata dai post riguarda la costituzione di reali luoghi di confronto, di scambio e di riconoscimento delle competenze sociologiche. Luoghi, cioè, dove si costruisce la “chiara fama” dello studioso. A riguardo, le componenti impediscono questo riconoscimento perché funzionano da formidabili riduttori della complessità intellettuale. Impediscono, cioè, di leggerci reciprocamente, di conoscerci, apprezzarci e criticarci come studiosi.

4)  Se una prima famiglia di proposte operative insiste, come questa, sulla necessità di ricostruire l’efficacia della reputazione come meccanismo regolativo (nessuna comunità scientifica può farne a meno del resto) altri argomentano che la semplice pubblicizzazione dei concorsi rischi di diventare una sorta di contentino. La perdita di reputazione pubblica non funziona con chi non ha alcuna credibilità scientifica da perdere. Ci si dovrebbe concentrare soprattutto sulla ricerca di strumenti per sanzionare i comportamenti che violano palesemente non solo la legge ma anche la "razionalità scientifica", che dovrebbe essere il cardine del lavoro quotidiano dello scienziato/sociologo. Tra le sanzioni, abbiamo a disposizione le relazioni di minoranza nei concorsi e nelle valutazioni di conferma in ruolo. Ne esistono altri?

5) Nel dibattito si è ricordata poi la necessità di istituire un comitato d’appoggio per i ricorsi al TAR per aiutare e sostenere i giovani studiosi che scelgano di rivolgersi alla magistratura. L’argomento è che senza la magistratura non verremo mai a capo della situazione perché le componenti accademiche hanno un potere intimidatorio e di ricatto troppo grande che può essere intaccato soltanto da una combinazione di percorsi culturali, amministrativi e penali.

Nessuno crede che la leva principale per regolare una comunità scientifica sia solo il ricorso alla magistratura. Del resto, di fronte a comportamenti che lo richiedono, non bisogna temere la denuncia. I panni sporchi, quelli veramente lordi, non si possono lavare in casa. Gli illeciti vanno sanzionati con gli strumenti adeguati e chi si fa carico di una denuncia va sostenuto con tutti i mezzi possibili. Non ostracizzato.

6) Vi sono poi stati interventi che chiamano in causa la necessità  di cambiamenti del quadro istituzionale più ampio e di medio-lungo periodo. Si tratta di proposte interessanti e meritevoli di discussione (ad es. eliminazione dei concorsi e sostituzione con procedure di assunzione diretta) ma che in questa sede interessano soprattutto perché sollevano una domanda: la nostra associazione professionale e la nostra rappresentanza al CUN sono in grado di farsi carico di queste e altre analoghe istanze? Come migliorare la capacità di lobbing dei sociologi? Che rapporto c’è tra l’associazione professionale e il CUN? Quanto le decisioni prese al CUN dalla nostra rappresentanza si raccordano con tutta la comunità sociologica? L’AIS svolge bene questo ruolo di raccordo?



7)  È chiaro poi che sia i meccanismi reputazionali che quelli sanzionatori funzionano solo in presenza di alcuni, comuni, elementi di contesto. Il primo è una sana propensione a valutare criticamente e senza timori il lavoro professionale e scientifico dei propri pari. La realtà, lamentano alcuni interventi, va in direzione opposta: le riviste accademiche italiane pubblicano spesso lavori impresentabili; un gruppo sempre più folto di “editori” compiacenti stampa – spesso a pagamento – quantità industriali di monografie zoppicanti perfino sul piano tipografico; i convegni AIS non brillano per capacità di selezionare i contributi migliori, applicando la regoletta del tre nella selezione degli interventi (a prescindere dal valore di chi parla).


8) Un’ultima proposta riguarda la lotta alla pratica della “citazione miope”. Su questo aspetto, nelle riviste e ancor più nelle attività di formazione dei giovani studiosi ciascuno di noi può fare qualcosa, semplicemente contrastando questo costume.

Anche in questo caso le cose possono migliorare solo attraverso azioni individuali e assunzioni di responsabilità collettive.

In sintesi, si delineano quindi alcune linee di intervento per la riforma della comunità scientifica: soluzioni di lungo periodo e soluzioni di breve periodo; moral suasion/effetti reputazione e sanzioni/strumenti formali. Tra gli strumenti formali, si distinguono quelli interni alla comunità scientifica (relazioni di minoranza nei concorsi e nella commissioni di conferma) e quelli esterni (denuncia pubblica).

L’AIS, se intende cambiare rotta, deve contrastare la “tabellina del 3”, sia nelle pratiche di governo che vita scientifica delle Sezioni. Ma anche in occasione delle elezioni del Direttivo e Presidente, che dovrebbe non seguire più la rotazione tra componenti, ma la logica del consenso e della chiara fama intellettuale.

3. Sei questioni principali

Queste proposte prendono le mosse dall’individuazione di sei questioni principali.

1) Problema dei concorsi.
La questione della scarsa selettività del sistema di reclutamento ha catalizzato i momenti più accesi del dibattito. Sono state proposte varie iniziative per “mettere sotto tutela”, per così dire, le attività delle commissioni. Tuttavia, salvo rari casi, s’è guardato al passato, più che al futuro.
Ora stanno per avviarsi le nuove procedure di valutazione comparativa. Il nuovo meccanismo messo a punto dalla legge è potenzialmente eversivo rispetto agli equilibri e agli accordi raggiunti dalle componenti col meccanismo precedente.
Si apre quindi una fase di transizione. Si apre contestualmente la possibilità di gestire la transizione, a cui le componenti - ci si può scommettere - si stanno già attrezzando. Per evitare che le componenti riadattino dinamiche meramente spartitorie al nuovo meccanismo dei concorsi è necessario mettere in atto delle iniziative capaci in qualche modo di vincolarle. Per esempio, anche solo una vigilanza perché vengano effettivamente rispettati i criteri minimi fissati per legge sarebbe un passo avanti rispetto alle situazioni estreme. In ogni caso, una parte di questo tema sfugge all'orizzonte degli interventi che possano essere promossi da questa assemblea e ci conduce al secondo dei problemi cardinali che sono emersi.

2) Problema della cornice giuridico-amministrativa.
Molti hanno riconosciuto che la cornice giuridica e amministrativa in cui ci troviamo a lavorare nell’università italiana (valore legale del titolo di studio, pretesa  universalistica dei concorsi, sistema elettorale per la nomina delle commissioni) non facilita la coltivazione né la trasmissione di buone pratiche, e che quindi per avviare una seria riforma del sistema sarebbe necessario intervenire su quella cornice, anzitutto sulle leggi di reclutamento universitario.
La questione principale che si solleva a questo proposito è quella del soggetto capace di un tale intervento. Sarebbe necessario che gli organismi di rappresentanza della comunità disciplinare si facessero promotori, in rete con organismi di rappresentanza di altre comunità disciplinari, di un'azione ai livelli più alti per incidere sul piano governativo. Con questo si apre terzo problema cardinale, ovvero il

3) Problema dell’Ais.
Nella gestione della transizione si riconosce generalmente, di solito lo si dà per scontato, che il ruolo attivo vada affidato a un soggetto collettivo di rappresentanza. Ciò chiama in causa direttamente l'Ais, cui si imputa da parte di alcuni di essere poco più di un tavolo di concertazione tra le componenti, e quindi inadeguata a rappresentare la comunità disciplinare e a gestire la transizione verso una “comunità scientificamente rigorosa, produttiva, utile” (per citare il blog).
La domanda diffusa è se questo ruolo spetti a un'Ais nuova o a una nuova Ais, a un'Ais rinnovata nello spirito e nelle pratiche o a una nuova associazione indipendente. Il dilemma è arduo, perché la prima soluzione sembra difficile da raggiungere, la seconda sembra destinata a sfociare in un duopolio del tipo di quelli esistenti in altre discipline storico-sociali. In ogni caso si ha la percezione che nel corso del dibattito l’importanza attribuita al problema dell’Ais sia andata progressivamente affievolendosi, in particolare dopo l’aperto e produttivo intervento del suo presidente, che ha preannunciato iniziative dell’associazione in questa direzione.

4) Problema del ricambio generazionale.
È evidente dalla successione degli interventi che il dibattito nasce da un ricambio generazionale in corso, e che la generazione dei “padri” se ne tiene perlopiù alla larga, per vari motivi.
La rinascita della sociologia italiana sembra dover passare attraverso un ricambio generazionale. Ma questo ricambio è quello che riguarda l’attuale generazione dei 40-50enni, o quello dei cosiddetti “giovani”? Nel corso del dibattito sono state presenti, più o meno surrettiziamente, entrambe queste ipotesi. È chiaro che si tratta di due circostanze molto diverse, nelle premesse e soprattutto nelle conseguenze.
La prima ipotesi presenta un limite: che la generazione di mezzo (la mia generazione), nonostante sia stata l’animatrice di questo dibattito, è tuttavia pesantemente compromessa col sistema che si cerca di cambiare, nel quale siamo tutti professionalmente cresciuti e grazie al quale abbiamo fatto carriera.
La seconda ipotesi sconta da parte sua il difetto che i “giovani” non hanno finora brillato per la loro presenza, spesso appaiono disinteressati delle questioni del governo del sistema, sembrano fin dal principio adagiati in una consuetudine che non concede loro alcuno spazio decisionale autonomo (si fa quello che suggerisce il capo).

5) Problema del sistema della scienza
Tutte le diagnosi concordano sul fatto che la sociologia italiana soffre di un deficit di scientificità rispetto agli standard internazionali. Per ovviare a tale deficit, diversi interventi suggeriscono l'opportunità di fare ricorso all’introduzione nella nostra comunità disciplinare di correttivi sotto forma di vincoli sistemici al comportamento dei singoli.
La logica è quella dei meccanismi regolativi di tipo sistemico: doversi assoggettare a dei vincoli per perseguire i propri scopi. Dovendolo fare, i singoli sarebbero costretti, a prescindere dalle virtù individuali, a coltivare comportamenti consoni agli standard internazionali.
In questa direzione sono due i problemi da affrontare:
a) quello di individuare quali possano essere tali vincoli sistemici (tendenzialmente si fa riferimento al modello della peer review e all’estensione a tutti i momenti dell’attività scientifica di simili meccanismi reputazionali), e
b) quello di individuare delle buone prassi che siano utili a promuovere la nascita ed efficacia di tali vincoli nella comunità disciplinare.

6) Problema della cultura della scienza
In alternativa, oppure in maniera complementare rispetto al problema del sistema della scienza, molti ritengono che il problema italiano derivi fondamentalmente da un deficit di cultura della scienza. Un deficit di ordine deontologico ed epistemologico.
Si ritiene allora che per uscire dalla prassi consolidata vadano rinforzati nei singoli studiosi quei valori che sono considerati essenziali nell'ethos scientifico, come il rigore e l’universalismo nella ricerca, o la Sachlichkeit, l’oggettività senza compromessi, nell’esercizio della critica tra pari.
Attribuire dei contenuti effettivi e condivisi all’ethos della scienza forse non è facile, come ha dimostrato anche il lungo dibattito intorno ai quattro imperativi mertoniani, ma si può fare.
Ben più difficile è passare da imperativi deontologici sulla carta a comportamenti virtuosi nella vita quotidiana.
Nel dibattito s’incontrano proposte di iniziative atte a promuovere effettivamente comportamenti virtuosi nella nostra comunità disciplinare, di solito circoscritte però alla buona volontà di chi ci crede (per es.: la peer review dei giovani su base volontaria).


4. In conclusione

Il dibattito Treccani-Blog mostra che sono comunque necessarie proposte tecniche. Siamo tutti consapevoli che il cambiamento incomincia da questioni valoriali, ma passa soprattutto attraverso proposte tecnico-operative sorrette da soggetti collettivi e da assunzioni pubbliche di responsabilità individuale. Ricordiamoci che tutti noi abbiamo responsabilità personali, per il modo in cui ci comportiamo. Certo diversamente graduate, ma nessuno si deve chiamare fuori.

Ad esempio, alcuni hanno richiamato la necessità di una qualche condivisione di criteri minimi per l’abilitazione nazionale, altrimenti, come in passato si creeranno dinamiche che porteranno l'esito del "todos caballeros". Bisognerebbe quindi avviare un serio confronto sui requisiti minimi per fascia, e studiare gli scenari che potranno realizzarsi se un gruppo di “sottoscrittori” entrasse nelle commissioni di abilitazione. Chi è contro e chi è favore dovrebbe dirlo pubblicamente e il lavoro delle commissioni dovrebbe essere monitorato di conseguenza. Anzi, qui un primo compito per il futuro blog sui concorsi.

Un’ultimissima questione che ci sta particolarmente a cuore, anche considerando il tipo di adesioni al blog “Per la sociologia”. Se il rinnovamento della sociologia italiana passa, in primo luogo, da chi è già “all’interno” della professione, questo rinnovamento avrà chances se saprà valorizzare e promuovere, con tutti i mezzi pensabili e possibili, un ricambio generazionale di alto livello. Ma il ricambio generazionale, da solo, non basta. Ciò che si chiede alle nuove generazioni è innovazione nei comportamenti, capacità di affrancarsi dalle reti verticali e dalle pratiche deleterie che hanno rovinato la nostra comunità sociologica.

Certo può richiedere anche conflitto, intra e intergenerazionale, ma di questo non si deve avere paura. L’organizzazione sociale della scienza non deve temere il conflitto, ma piuttosto promuovere la fairness anche attraverso il conflitto.


Filippo Barbera (Università di Torino)
Paolo Volontè (Politecnico di Milano)



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