Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
La coincidenza della nuova lettera del collega Orsini,
riferita alla sentenza del Tar dell’Abruzzo sul concorso di Chieti a professore
di II° fascia, con il nostro Convegno di Roma ci spinge ad intervenire, nel
tentativo di distinguere rigorosamente i fatti dalle opinioni e dai giudizi
personali (con il corredo di illazioni, allusioni, provocazioni e invettive che
spesso ne consegue), ponendo così una questione che, insieme, è di sostanza e
di metodo.
Quali sono i fatti certi in questa vicenda? A nostro avviso
sono tre.
Il primo fatto è che la sentenza, nel mentre annulla il
concorso, nulla dice e ancor meno censura nel merito delle valutazioni espresse
dalla commissione giudicatrice, infatti essa si limita a dichiarare, innanzitutto,
l’illegittimità dell’articolo del bando di concorso dell’Università di Chieti che
prevedeva la possibilità di sottoporre a giudizio una pubblicazione in corso di
stampa, e, quindi, a dichiarare la non validità dell’intero iter concorsuale.
Il secondo fatto emerge con maggiore chiarezza a partire da
una puntualizzazione: le sentenze, come noto, riportano nelle prime pagine le
ragioni del ricorrente (nel nostro caso Orsini) e poi le ragioni difensive
delle parti chiamate in causa (nel nostro caso l’Università di Chieti e alcuni
colleghi); detto questo, risulta evidente dalla lettura della sentenza che
quando il collega Orsini nella sua lettera cita tra virgolette i punti di essa che
criticano duramente l’operato della commissione di concorso, omette però di
segnalare che queste affermazioni sono contenute nella parte della sentenza che
riguarda le argomentazioni del ricorrente, cioè di egli stesso, ed invece lascia
intendere erroneamente il contrario, cioè che tali argomenti siano stati
espressi in prima persona dai giudici, i quali non li prendono in
considerazione nelle motivazioni della loro decisione, fondata espressamente
sul vizio iniziale (l’articolo del bando) e sui suoi effetti generali.
Il terzo fatto è che le accuse rivolte da Orsini ai
commissari del concorso e ad altri colleghi non discendono, dunque, dal
pronunciamento dei giudici (la sentenza, come visto, dice altro, pur riconoscendo
le ragioni del ricorrente per l’annullamento del concorso a seguito della
nullità del bando), bensì da suoi giudizi personali, come noto aspramente
critici sugli indirizzi, i metodi, le procedure e la gestione complessiva del
nostro raggruppamento.
Ci è sembrato corretto e doveroso fare queste precisazioni,
per evitare che il sovrapporsi delle valutazioni personali sui fatti alimenti un
clima di ostilità preconcette e una deriva verso l’ingiuria e la gogna
virtuale.
28 settembre 2012
Giovanni Barbieri
Maria Antonietta
Battista
Antonella
Cammarota
Enrico Caniglia
Antonio Costabile
Marco Damiani
Roberto De Luca
Walter Greco
Lorenzo Grifone
Baglioni
Sabina Licursi
Milena Meo
Maria Mirabelli
Arianna Montanari
Lucia Montesanti
Michele Negri
Emanuela Pascuzzi
Andrea Pirni
Antonio Putini
Ettore Recchi
Paolo Segatti
Paolo Turi
Francesca Veltri
Fiorella Vinci
Lorenzo Viviani
Colpisce (ma non sorprende, purtroppo!) che un documento firmato da 17 docenti universitari di tutte le fasce presenti tanti vistosi errori di grammatica, sintassi e punteggiatura; errori da matita blu già nella scuola dell’obbligo. Vorrei quindi sperare che sia stato scritto da pochi “miracolati” (come sono stati definiti in questo stesso blog certi vincitori di concorsi combinati) e che gli altri lo abbiano firmato per mera "obbedienza", come si diceva un tempo in certi ordini religiosi. Non conosco tutti i firmatari, ma quelli che conosco appartengono pressoché tutti a componenti o a cordate che dell'obbedienza hanno fatto una virtù e quelli che non conosco sono in gran parte dei giovani precari, psicologicamente subalterni a chi di fatto li controlla.
RispondiEliminaIn ogni caso è evidente che i più hanno firmato senza nemmeno preoccuparsi di leggere prima né la sentenza del TAR né i verbali del concorso. Li invito dunque a farlo ora, senza i paraocchi di una preconcetta difesa d'ufficio dei commissari cui molti di loro risultano direttamente o indirettamente legati.
Sorgono spontanee due domande: questi 17 colleghi, se fossero stati nella commissione di Chieti, si sarebbero rifiutati anche loro di controllare il rispetto delle norme di legge e di quelle del bando e degli stessi criteri in precedenza approvati all’unanimità, così come hanno fatto, pur richiesti, i commissari da loro difesi? È questo il comportamento che ci si deve attendere da loro in futuro?
Umberto Melotti
Professore senior dell’Università di Roma “La Sapienza”