sabato 11 gennaio 2014

A proposito di "sommersi" e di "salvati"


Ho letto con molto interesse I sommersi e i salvati di Matteo Bortolini, e credo che abbia centrato il punto. Chi scrive è uno dei tanti “sommersi” – ma uso questo termine con un po’ di pudore, ché ben altro e più atroce destino ha atteso i sommersi di cui ha parlato Primo Levi. Ma in queste poche righe non ci sarà spazio per recriminazioni personali o attacchi ai Commissari – il “tiro al Commissario” sta diventando lo sport più frequentato (e più insopportabile) della nostra comunità. Si tratta, ha ragione Matteo, di sottrarsi al clima da ordalia che ha accompagnato prima e seguito poi i lavori delle Commissioni. E si tratta di ribadire con forza – adesso, quando sembra difficile e finanche impossibile farlo senza dare l’impressione di mettere con forza le mani in ferite aperte -  che non si torni indietro lungo la strada impervia e accidentata dei processi di valutazione dell’università e del nostro lavoro (abilitazione e vqr su tutti. E nonostante abbia buoni motivi di frustrazione personale per gli esiti del primo processo e altrettanti buoni motivi di soddisfazione personale per gli esiti del secondo processo, non sono così sciocco da confondere il funzionamento di un meccanismo di valutazione con la filosofia che l’ha ispirato).  
Pur con tutte le distorsioni e le parziali incongruenze, non c’è ad essi un’alternativa credibile e non arbitraria. Intendiamoci: non è che la pratica della valutazione per come fino ad ora è stata interpretata sia scevra da zone d’ombra, ma questo non è un buon motivo per abbandonarla. 

Se esistesse una comunità scientifica dei sociologi in senso proprio invece della pluralità di voci particolari che a livello “sistemico” si coprono l’un l’altra, quando non producono solo un “rumore” insopportabile, lavorerebbe per la creazione di nuovi luoghi – comuni e condivisi – aperti al confronto e al dibattito; troverebbe l’occasione per provare a uscire dalla marginalità – anche accademica – in cui le scelte della politica e il dibattito pubblico hanno confinato la sociologia; si sforzerebbe di trovare al proprio interno un terreno di mediazione e di composizione delle diverse e contrastanti istanze per stabilire regole e meccanismi di promozione del merito meno opache e meno legate alla discrezionalità (e alle idiosincrasie) individuale. Io spero che il dibattito – anche aspro – vada in questa direzione, piuttosto che rimanere impigliato nelle critiche (ancorché legittime e in molti casi argomentati e argomentabili) ai risultati dei lavori delle Commissioni.  
Anche nel caso in cui ci fossero stati “vizi” di interpretazione dei criteri e dei meccanismi concorsuali per l’abilitazione, i Commissari si sono trovati a lavorare con “regole del gioco” e all’interno di condizioni di contesto che non hanno scelto. In questo senso, non ha senso addossare ai Commissari responsabilità che non hanno, così come sarebbe oziosa una disquisizione – ancorché dotta ed empiricamente argomentata – sui punti deboli e le zone d’ombra del processo (di cui invece i Commissari portano la responsabilità) senza che ci si sforzi di indicare con chiarezza una prospettiva e una o più strade verso cui muoversi per il futuro.
Detto questo, ha ragione Matteo: bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riconoscere il merito e il valore degli altri. In questo senso, se guardo ai risultati del settore 14C1 – l’unico che conosco in forza di una quasi ventennale frequentazione – non trovo nemmeno un caso di abilitazione con cui non sia d’accordo o che non reputi “meritata”. E questo, per chi conosce la storia concorsuale dell’ultimo decennio, non è un dettaglio! Certo, si potrebbe discutere all’infinito se altri Candidati non potessero superare la fatidica la soglia – e io credo di sì, e posso dirlo visto che appartengo al girone in cui sono stati scaraventati i più infimi fra di noi. Ma questo è un altro discorso: riconoscere i meriti degli abilitati non disconosce quelli dei bocciati (me compreso). Lo ripeto: il punto non è per me fare le pulci al lavoro dei Commissari ma lavorare per rendere l’intero processo di valutazione migliore (perché ha ragione Matteo: a queste condizioni chi accetterà mai di continuare o di candidarsi a fare il Commissario?).
Questo per quanto riguarda le considerazioni per così dire sistemiche. Ci sono poi, come scrive Matteo, le considerazioni personali. Ciascuno di noi – intendo i “bocciati” – trarrà da quest’esperienza la lezione che vorrà (o che saprà). Ci sarà chi abbandonerà il “gioco” delle competizioni promozionali e chi aspetterà la prossima volta. Io, per parte mia, continuerò a lavorare come ho sempre fatto, adempiendo al “compito quotidiano”, sforzandomi di non disonorare troppo la dignità del lavoro che svolgo e difendendo tutti i giorni la mia dignità personale.

Carmelo Lombardo
Sapienza Università di Roma    

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