venerdì 10 gennaio 2014

I SOMMERSI E I SALVATI


Non ho partecipato al round di abilitazioni 2012 per molte ragioni, alcune personali, alcune di sistema. Tra queste ultime, la convinzione che il meccanismo fosse troppo rozzo, impreciso e flessibile (regole abbozzate, tempi ristretti, responsabilità poco chiare, risorse troppo scarse) per assicurare una serena valutazione dei candidati. Era evidente che una procedura di abilitazione nazionale messa in piedi frettolosamente, senza basi e senza considerazione dello stato della disciplina (dai meccanismi di pubblicazione fino alle componenti, all inclusive) non potesse che generare incomprensioni, sconforto e, infine, conflitto improduttivo. Visto il clima dell'ultimo mese, la mia previsione si è ahimè mostrata fin troppo ottimistica: strage di candidati, proteste, minacce di ricorsi collettivi, sfiducia, lettere e controlettere, repliche e controrepliche, urla nei corridoi, amicizie infrante. Di più: lo scontro epocale tra sommersi e salvati.

Fino a qualche giorno fa pensavo di comprendere umanamente chi è stato bocciato—capivo l'opacità dei passaggi, la delusione, il senso di rifiuto e tutto il resto. Poi però mi sono chiesto il perché di reazioni tanto cariche di pathos. Diciamocelo chiaramente: più che a una procedura burocratica siamo di fronte a uno psicodramma collettivo. Lo si era già visto nel clima da ultimi giorni di Pompei della scorsa estate: corsa alla pubblicazione dell'ultimo minuto, notti insonni a computare mediane e a ricamare cv, lamentazione continua a proposito di ogni regola, decisione, codicillo della procedura, attesa spasmodica per i dettagli delle nomine e conseguente esplorazione minuziosa dei cv dei commissari per immaginare appartenenze, anticipare mosse, prevedere illeciti. 


A ben vedere, si tratta di uno psicodramma collettivo che è tanto più odioso quanto più si fonda sulla calcolata dimenticanza di un aspetto cruciale: il round di abilitazioni è annuale, la commissione ha durata biennale. Tra sei mesi ci sarà il round 2013 e tra un anno i commissari attuali rimetteranno il loro mandato (sempre che non lo facciano prima: chi di coloro che si lamenta vorrebbe rimanere? Io non me la sentirei). Ci saranno nuove abilitazioni e nuovi commissari. Chi è stato bocciato può ripresentarsi tra un anno, e si sottoporrà al giudizio di una nuova commissione. E allora chiedo ai colleghi non abilitati: perché tanto pathos? Perché questo clima da ordalia? Perché tanta preoccupazione? Perché, semplicemente, non lavorate serenamente un anno e vi ripresentate nel 2014 bypassando la commissione attuale?

Immagino la risposta dei sommersi: io, amico dei salvati, sto facendo l'ingenuo, fingo di non sapere che i pochissimi posti disponibili verranno immediatamente occupati dalla Spectre degli abilitati e che per gli altri non rimarrà neppure un piatto di lenticchie per decenni. Qui però passiamo dal sistemico al personale. Uno dei motivi per cui non ho partecipato al round di abilitazioni 2012 è che non sono abbastanza sicuro di me e immaginifico da pensare che se diventassi associato, ordinario o direttore di dipartimento potrei cambiare questa università priva di risorse e dignità. E quindi non mi pongo il problema della carriera, studio, faccio ricerca (spesso di tasca mia), cerco di aiutare i miei studenti e cerco di valutare serenamente i colleghi quando sono chiamato a farlo. Non servono Foucault o Deleuze per sapere che l'unico modo per sottrarsi davvero al potere è non desiderare ciò che il potere ha da darci.

E' evidente che questa mia posizione non è condivisa, per mille ragioni. Posso solo concludere proponendo a tutti—sommersi e salvati, commissari e legislatori—due citazioni assai note, sperando che ci aiutino a trasformare uno psicodramma collettivo stucchevole e un po' infantile in una riflessione matura:

"La natura degli uomini è tale che, per quanto possano riconoscere molti altri come più ingegnosi o più eloquenti o più dotti, difficilmente crederanno che molti siano saggi come loro, perché vedono il proprio ingegno da vicino, e quello altrui a distanza" (Thomas Hobbes, Leviatano, cap. XIII)

"1.16. Il Maestro disse: 'Non preoccupatevi se non riconoscono i vostri meriti. Preoccupatevi piuttosto se non riconoscete quelli degli altri'" (Confucio, Detti)


Matteo Bortolini
Ricercatore di Sociologia generale, Unipd
Con-direttore di Sociologica
Aderente a Per la sociologia

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