Oggi si discute sempre più spesso di meritocrazia e di etica sociale. Mi sembra che l’opinione pubblica
percepisca questi valori come segnali di cambiamento del modello economico e
sociale. Questi valori sembrano accompagnare tutti i programmi di riforme, del
mercato del lavoro, delle istituzioni professionali ecc. Ho l’impressione,
perciò, che non possiamo esimerci dal rendere “pubblici” i dibattiti sui
paradigmi meritocratici e etici, che, peraltro, ci contraddistinguono come gruppo
di sociologi del movimento “Per la sociologia”, ed anzi ne hanno segnato la
nascita. Penso che dovremmo farlo
per sollecitare la nostra associazione professionale a mettersi in relazione
più diretta con i suoi pubblici, non fermandosi all’interno dell’accademia ma
aprendosi al sociale.
La premessa a questo mio intervento risiede nella convinzione che l’AIS sia del tutto autoreferenziale. Finisce per rappresentarsi come una corporazione che, attraverso le sue elite, si concentra solo sul controllo delle inclusioni e delle carriere. La Sarfatti Larson direbbe che si concentra sul controllo della “produzione dei produttori”, sul reclutamento e sulla selezione attraverso dei meccanismi che permettono alle elite di riprodursi. Infatti, non mi risulta che l’AIS sia mai entrata nel dibattito sociale e politico, che abbia mai pubblicizzato il suo parere sulle riforme sociali. Da notare che questo ruolo pubblico è un obiettivo dello Statuto, anche se non mi sembra esista una forma di mandato diretto non solo al presidente dell’AIS, ma anche a qualche componente degli organismi direttivi.
La premessa a questo mio intervento risiede nella convinzione che l’AIS sia del tutto autoreferenziale. Finisce per rappresentarsi come una corporazione che, attraverso le sue elite, si concentra solo sul controllo delle inclusioni e delle carriere. La Sarfatti Larson direbbe che si concentra sul controllo della “produzione dei produttori”, sul reclutamento e sulla selezione attraverso dei meccanismi che permettono alle elite di riprodursi. Infatti, non mi risulta che l’AIS sia mai entrata nel dibattito sociale e politico, che abbia mai pubblicizzato il suo parere sulle riforme sociali. Da notare che questo ruolo pubblico è un obiettivo dello Statuto, anche se non mi sembra esista una forma di mandato diretto non solo al presidente dell’AIS, ma anche a qualche componente degli organismi direttivi.
Un’organizzazione professionale dovrebbe avere un
ruolo pubblico, come, citando Durkheim, scriveva qualche anno fa Burawoy,
l’attuale presidente dell’Associazione Internazionale di Sociologia, in un convincente
articolo con cui la rivista online Sociologica si affacciava sulla scena
disciplinare (proprio il n.1/2007). Se la sollecitazione diretta ci arriva da
Burawoy, per il quale “un’associazione di sociologi dovrebbe intervenire sui
processi sociali”, una, teorica ma non meno diretta, proviene dalle analisi di
Bourdieu sul mestiere di sociologo come “soggetto collettivo che serve l’umanità”.
Mi sembra che la recente e rinnovata riflessione sull’opera di Bourdieu, sulla
sua analisi del ruolo politico e sociale della sociologia, sia rimasta alquanto
circoscritta, e il dibattito sulla sociologia pubblica aperto da Burawoy sia
rimasto fermo agli entusiasmi dell’inizio, e, comunque, non abbia influenzato
le discussioni sull’assetto associativo della sociologia italiana.
Invece, ora, avendo in mente proprio questo
dibattito, vorrei proporre una riflessione sul ruolo pubblico della sociologia,
sulla relazione tra l’ottica disciplinare e i diversi pubblici, quelli interni,
come gli studenti e i giovani in carriera nell’accademia, e quelli esterni, che
bisognerebbe individuare e che “se non ci fossero bisognerebbe creare”! Insomma, osservando i cambiamenti etici
nella nostra vita associativa e nella società, più che altro le esigenze di
cambiamenti etici, mi sembra che l’occasione sia propizia perché la sociologia
intervenga pubblicamente sui temi della meritocrazia e dell’etica sociale.
Sono
i temi sui quali già si va discutendo nell’agone politico, e, come si può
facilmente notare, domina la visione economicista che li propone in termini di
acquisizione e di distribuzione della ricchezza, mentre rimane molto sullo
sfondo la visione sociologica dei termini di acquisizione e distribuzione delle
risorse sociali, delle posizioni lavorative e delle responsabilità di status. Sono
temi a cui noi, come sociologi, siamo molto sensibili, in particolare noi del
blog “perla sociologia”, come mi hanno ulteriormente confermato le reazioni ad un
mio precedente intervento.
“Perlasociologia”, quindi, ha già avviato la
discussione su questi temi, ma ancora prima il blog della Treccani. Può questa
discussione essere ricondotta ad una linea interpretativa e ad un codice di comportamenti,
che siano condivisi? E può, poi, metterci in relazione con un pubblico
specifico o con pubblici diversi? Per esempio, si può partire dalla discussione
sui soggetti discriminati negli accessi e nelle carriere nella sociologia, per allargarsi
ad individuare le caratteristiche sociali dei soggetti discriminati, il genere
o la meridionalità? Può essere questo il modo in cui la sociologia costituisce
uno dei propri pubblici, accomunato dall’esigenza di critica all’assetto
valutativo e selettivo e di progetto di trasformazione dei criteri
meritocratici e dei comportamenti etici dei valutatori?
La sociologia, intesa come organizzazione
professionale, deve svolgere un ruolo pubblico, deve darsi il compito di
pronunciarsi pubblicamente sulla meritocrazia e sull’etica sociale. Certo,
questo compito implica alcune questioni: chi si propone di definire la linea interpretativa
condivisa e il codice di condotta? chi si fa carico di rappresentare quella
parte che condivide il modo di intendere quei valori e che si comporta di
conseguenza? con quali strumenti si propone questo ai pubblici esterni
all’accademia?
Partiamo dalla linea interpretativa condivisa. Il
dibattito è cominciato da più di un anno, si è concentrato sull’assenza di meritocrazia
nel sistema accademico delle valutazioni comparative e sui parametri di
valutazione che potrebbero limitare i comportamenti eticamente censurabili di
alcuni nostri colleghi, che ancora sopravvivono, ahimè. Da qui, un codice di
condotta potrebbe essere formulato come finalizzato a dare forma visibile alla
condivisione di alcuni parametri
minimi. Questo non è tuttavia sufficiente, a mio parere, se non si lega
“all’analisi dei fenomeni sociali”, “all’interpretazione dei processi di
cambiamento e dei meccanismi di riproduzione che interessano la nostra
società”, come si legge nel documento del gruppo “Progetto organizzativo”.
Ma
veniamo alla questione di come rappresentare pubblicamente questa linea
interpretativa condivisa, con quali strumenti. E’ molto difficile pensare a
strumenti e ad occasioni pubbliche, ma mi sembra che si possa cominciare
discutendo tra di noi e con altri scienziati sociali, nel presupposto che
discutere dei codici etici nelle discipline universitarie, come la sociologia, ma
anche come la filosofia, la scienza politica, l’economia politica, il diritto
del lavoro, significa concorrere a rendere consapevoli dei valori sociali le future
classi dirigenti e professionali. Come è stato bene messo in evidenza da Brint
o Savage, noti a tutti noi, nel processo educativo e formativo, in qualsivoglia
disciplina, i codici di condotta sono trasmessi, implicitamente, insieme alle
tecniche e alle nozioni.
Potrebbe essere un punto di partenza per noi,
“perlasociologia pubblica”, darci il compito di rappresentare pubblicamente il nostro modello
etico e discuterlo insieme agli altri scienziati sociali, in una visione più
ampia delle trasformazioni del modello economico e sociale e dei valori che possono
informare l’ordine sociale? Non possiamo anche darci il compito di interloquire
con gli organismi di rappresentanza della disciplina e di gestione del sistema
universitario su finalità scientifiche, di confronto su questi temi?
Mirella Giannini
Università “Federico II” di Napoli
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento verrà visualizzato dopo qualche ora dall'invio. Affinché il tuo post sia pubblicato è necessario inserire in calce il tuo nome e cognome per esteso e la tua afferenza accademica: es: Mario Rossi (Università di Roma). Se dopo 24 ore non vedi il tuo post, o se hai dubbi, scrivi direttamente una mail a perlasociologia@gmail.com