mercoledì 26 ottobre 2011

Un contributo per la discussione di venerdì 28


Non potendo essere presente a Bologna vorrei comunque partecipare in qualche modo alla discussione, portando il mio punto di vista su alcuni dei punti già sviluppati nel dibattito.


1) La storia della sociologia Italiana e in parte lo stesso il dibattito che si è sviluppato intorno al progetto Per la sociologia ha mostrato come sia altrettanto nociva della sclerotizzazione della sociologia nelle “famigerate” componenti la forte personalizzazione del campo accademico. L’eccessivo peso che simpatie e antipatie, conflitti e vicende personali hanno nella comunità dei sociologi. Siamo di fronte ad un classico circolo vizioso: la personalizzazione rende difficile il funzionamento di una comunità di sociologi e nello stesso tempo questa personalizzazione è agevolata dalla mancanza di una comunità o se il termine di comunità non ci piace, dalla scarsa autonomia del campo (per dirla con Bourdieu). Questo è il primo motivo per cui l’esistenza di una associazione italiana di sociologia e non di tre (o di molte di più come talvolta sembra di intuire nella frammentazione di posizioni spesso conflittuali) mi sembra importante: per stemperare i personalismi e creare un terreno comune di fiducia e condivisione di obiettivi generali. Questa è una delle finalità che i singoli sociologi da soli (per quanto preparati, illuminati e competenti) non sono in grado di raggiungere. Per questo abbiamo bisogno di un attore collettivo.


2) Oggi le procedure di reclutamento e di progressione nei ruoli universitari sono ancora una volta  cambiate. Continuare a discutere di come sono andati i concorsi nel passato corre il rischio di farci perdere il treno della definizione dei criteri oggi. Anche la retorica di “vinca il migliore”, semplice e immediata, non ci aiuta a risolvere i problemi concreti del reclutamento. I “concorsi” non sono gare di atletica in cui chi è più veloce vince una medaglia e se la porta a casa. La selezione dei migliori deve essere un esito del sistema che ci fa capire che esso funziona e non il risultato assicurato dalla singola procedura di valutazione.
Le nuove procedure contengono elementi potenzialmente positivi. Ad esempio incomincia a porsi il problema della scelta dei selezionatori. La legge prevede che i docenti siano valutati prima di poter partecipare al sorteggio per la formazione delle commissioni ed è prevista la presenza di docenti in ruolo presso università straniere. In questa direzione l’Anvur ha proposto che i candidati al ruolo di commissario debbano avere una produzione scientifica di qualità superiore alla mediana del proprio settore disciplinare. Ancora si sta andando verso una sempre maggiore responsabilizzazione delle sedi locali perché una parte crescente dell’FFO viene attribuita sulla base della produttività didattica e scientifica. Se questa quota non è maggiore è perché – in particolare per le aree delle scienze sociali ed umanistiche- non vi sono criteri di valutazione condivisi.


3) Quindi quello che possiamo fare in concreto per migliorare e rendere meno aleatori i meccanismi di selezione e per “dare corpo” a quella parte della sociologia che vuole cambiare è  impegnarci nella produzione di criteri di rilevanza scientifica che possano essere condivisi.  Questa mi sembra la sfida più importante che la sociologia italiana deve affrontare nell’immediato. Come verrà valutata la produzione scientifica dei candidati al sorteggio nelle commissioni per l’abilitazione? Corriamo il rischio sulla base del numero di volumi pubblicati. Quali saranno i criteri per l’abilitazione scientifica? Certo non bastano i requisiti minimi quantitativi come quelli individuati dal CUN. Sono tante le occasioni in cui siamo chiamate e chiamati a valutare (per i Prin, per i fondi d’Ateneo, per l’attribuzione di assegni di ricerca e così via). Perché si possa parlare di deontologia professionale dobbiamo avere una base di comune di criteri condivisi. Non è un compito facile perché l’idea stessa di valutazione, della sua possibilità/necessità è tutt’altro che scontata in molti ambienti e settori trasversalmente alle componenti. Penso però che su questo punto possiamo e dobbiamo lavorare.


Bisogna dire, per onestà, che molte delle cose di cui abbiamo parlato in questi mesi sono state anche tentate in diverse occasioni dentro l’AIS. E’ necessario creare le condizioni perché si arrivi finalmente a qualche risultato. O lavorando dentro l’AIS (quanti di noi l’hanno fatto veramente?) o facendo pressioni dall’esterno. Sono disponibile ad entrambe le strategie.

(Giuliana Mandich, Università di Cagliari)

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