venerdì 15 luglio 2011

Dentro e fuori la cittadella sociologica. Spunti per la costruzione dell’agenda dell’incontro “Per la sociologia”

In questo lungo anno dall'inizio del dibattito sullo stato della Sociologia il mondo universitario italiano ha visto emergere la protesta di ricercatori precari (http://coordinamentoprecariuniversita.wordpress.com), di quelli strutturati (www.rete29aprile.it) e degli associati (www.professoriassociati.it). Gli ordinari, al contrario, non sono riusciti a dar vita a forme collettive pubbliche di coordinamento analoghe per criticare gli aspetti più deleteri della riforma e delle politiche governative. Ricercatori e associati hanno dato vita insieme a due esperienze rilevanti di analisi, protesta e contro-proposta non solo 'contro' la 240/2010, ma anche per reagire ai mali endemici dell'università italiana, esattamente come tra sociologi stiamo cercando di fare con questa discussione.

Ricollegandomi al ricco scambio di contributi di questi mesi, sul forum Treccani aperto da un contributo di Guido Martinotti, su Primopiano di Sociologica, e da qualche settimana su un indirizzario di 140 sociologi predisposto da Filippo Barbera, Marco Santoro e Maurizio Pisati, ho aderito al progetto di incontro 'Per la sociologia', perché ne condivido l'intento generale. Ci sono aspetti e snodi del lungo dibattito che non ho trovato del tutto convincenti, ma li ritengo secondari rispetto agli obiettivi più generali che l’iniziativa di ottobre si propone. Mi sembra anche che inizino a consolidarsi vari macro-temi per l’agenda della discussione in quella sede, che mi pare vadano oltre il nucleo iniziale costituito dalla più che condivisibile critica alle ‘componenti’ e all’attuale strutturazione del campo disciplinare, gestione spartitoria dei concorsi compresa. Limitandomi alle principali tematiche emerse, mi sembra che esse siano:
- il contesto istituzionale, con particolare riferimento all’attuazione della L. 240/2010;
- l’etica professionale;
- qualità scientifica e valutazione.
Poche sintetiche osservazioni su questi punti.
Rispetto all’avvio di questo dibattito lo scorso anno, come e’ stato sottolineato, il quadro istituzionale e' fortemente mutato (sia detto per inciso, non sorprende che in prossimità di questo cambiamento alcuni giocatori abbiano sancito più o meno platealmente la fine, o quantomeno l'intervallo, del gioco). L'AIS stessa ha affrontato il tema dell’impatto della L.240 in almeno due recenti incontri pubblici (a Firenze e a Milano).
Per restare al tema caldo dei concorsi, con il nuovo sistema cresce il potere delle sedi, cambiano presumibilmente le "fedeltà" che contano, con incentivi che vanno ancor più nella direzione dell'impegno didattico e organizzativo a scapito della ricerca (e delle pubblicazioni di livello).
Ben presto ci troveremo poi a fare i conti col paradosso di un’abilitazione nazionale di massa (molti precari di oggi hanno i requisiti formali minimi per l’abilitazione da associato, se non da ordinario) da un lato e dall'altro la stretta sul turnover, che consentirà alle sedi di chiamare solo una minima parte degli abilitati.
Insomma, nella situazione grave in cui si trova l'università italiana, non credo sia possibile pensare a una cittadella sociologica che funziona. Né penso che ci si possa occupare solo dei criteri della nuova abilitazione nazionale (le cui modalità, stando alle bozze di decreto attuativo, prevedono ancora la non pubblicità dei titoli presentati dai candidati, in nome della ‘tutela della riservatezza’, Art. 8, comma 2: altro che trasparenza!).
Sono convinta che come sociologi sia necessario guardare al quadro più ampio di attuazione della 240/2010, che a molti, me compresa, pare solo ipocritamente interessata alla promozione della ricerca. Per riprendere il punto sulla mobilità fra atenei su cui ha attirato l’attenzione Luigi Pellizzoni, anche il regime dei trasferimenti del personale accademico, stando alla bozza di decreto attuativo relativo, sembrerebbe tutto incentrato sulla didattica, laddove invece sarebbe forse più opportuno, per favorire la crescita di qualità del sistema, privilegiare la mobilità legata alla domanda/offerta di ricerca.
Ho anche l’impressione che sarebbe utile distinguere meglio fra etica professionale e qualità scientifica. Sul primo versante, per es. sulla collegialità e trasparenza della conduzione di una rivista o di un comitato editoriale; sulla correttezza e il rispetto che devono caratterizzare i rapporti di colleganza, specie se asimmetrici; su plagio o citazioni/non citazioni strategiche; sull’onesta' intellettuale richiesta ogni qualvolta si tratti di ‘criticare’ le scelte metodologiche dei ‘sovra-ordinati’; sull’uso ‘furbo’ e particolaristico del sistema di referaggio anonimo; almeno su molti di questi aspetti dovremmo (e possiamo) convergere più facilmente. Una solida comunità scientifica può e deve fare il massimo per scoraggiare e censurare comportamenti professionali non etici. A ben guardare, tuttavia, con poche specificità riguardanti l’etica della ricerca sociologica e la responsabilità del sociologo verso il pubblico (quando per es. il sociologo entra nell’arena mediatica), si tratta ancora una volta di questioni che interessano tutto il mondo accademico, ben oltre i confini della nostra disciplina.
Il piano dell’etica professionale è anche quello in cui si dovrebbe realizzare la massima eguaglianza: eppure troppo spesso per aver titolo a denunciare comportamenti scorretti si ritiene di dover godere di un ampio riconoscimento della propria ‘eccellenza’ a tutela della propria reputazione, dato che presumibilmente le ritorsioni arriveranno proprio da attacchi su quel versante. Chiarire questo punto può anche rendere più attivi ed autonomi i più giovani e/o meno consolidati.
Sul versante della qualità scientifica, le questioni da affrontare sono costitutivamente più complesse, come già è stato sottolineato. Credo anche io che sia opportuno stabilire criteri minimi, ma spero anche che riprenda quota il valore dell’analisi diretta dei titoli dei candidati, indipendentemente dalla lingua e dalla collocazione editoriale, proprio perché sappiamo che anche il campo editoriale non è privo di difetti e le opportunità di accesso sono spesso distribuite sulla base di appartenenze, reti consolidate e “lealtà”. I criteri quantitativi sono pur sempre una scorciatoia; l’adattamento al nuovo ‘standard’ non necessariamente è segno di un incremento di qualità, ed andrebbe comunque letto in relazione alle risorse impiegate e forse anche a diversi idealtipi di lavoro accademico. Parallelamente al dibattito sul Forum Treccani, su questi temi il movimento dei ricercatori italiani ha sviluppato un’ampia discussione, anche con sbocchi parlamentari.
Infine, riguardo all'efficacia dei meccanismi di mercato nell'imprimere slancio ad un cambiamento positivo, indebolendo la tendenza alla ‘cricca’ e favorendo logiche più ‘meritocratiche’, dichiaro apertamente il mio scetticismo, ma non vorrei prendere altro spazio (ho tentato di sviluppare un po' di più il punto qui: http://www.sociologica.mulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:174 ).
Sono fiduciosa che questi temi, pur assenti nel sintetico appello del blog 'Per la sociologia', ma utilmente richiamati con link esterni, e visibilmente in crescita nella discussione che si sta sviluppando da un anno a questa parte, trovino spazio nella costruzione dell'agenda dell’incontro del prossimo Ottobre a Bologna.
Anna Carola Freschi (Università di Bergamo)

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