lunedì 25 luglio 2011

Prendere sul serio il "contesto": Napoli, per esempio

Marco Santoro si è spinto fino alla mia tana napoletana chiedendomi gentilmente di intervenire sul blog e, dopo qualche esitazione, dovuta in parte al mezzo di comunicazione che non mi è congeniale e credo poco adatto a questo tipo di discussione, ho provato  anche io a fare qualche breve considerazione. Mi sembra infatti che questa iniziativa non meriti né una spocchiosa indifferenza né una timorosa distanza, ma vada invece presa molto sul serio.


E tuttavia devo confessare un certo disagio dovuto a diversi motivi.
In primo luogo la moltiplicazione delle sedi di dibattito. Mi sono infatti chiesta: intervengo nel blog dei “moralizzatori” oppure sul più nobile portale della Treccani, oppure ancora nel forum “istituzionale” dell’AIS? E’ singolare che un dibattito, che nasce anche da una insofferenza verso le componenti, poi ne riproduca le modalità operative, sia pure su un piano diverso. Una seconda ragione ha a che fare con il  fatto che due terzi delle mie ex compagne di scuola – ora signore attempate -  non ha mai avuto un lavoro oppure lo ha brutalmente perso (perfettamente in linea con le statistiche ufficiali sulla disoccupazione femminile nel Mezzogiorno). Questo semplice dato biografico mi ha sempre impedito di appassionarmi troppo alle vicende concorsuali mie e di altri (tranne quando c’è di mezzo un primo impiego e quindi anche un reddito certo). Insomma trovo giusto indignarsi se uno ritiene che abbia subito un torto, ma poi bisogna anche guardare avanti e guardarsi intorno. Per terzo motivo: penso che in ogni concorso valga sempre la massima  kantiana “cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me ” e non sarà certo una griglia del tipo proposto (3-6+9) ad agire sulla seconda (la mia piccola esperienza di commissioni di concorso, anche presso enti pubblici, mi ha insegnato che non sempre la applicazione pedissequa di criteri “oggettivi” premia il migliore). Infine poi, come si dice a Napoli, “ogni scarrafone è bello a mamma soia”, e credo che ciascuno spesso sia sinceramente convinto che il suo allievo o allieva sia il più  bello o bella di tutti, soprattutto se rassomiglia tanto a mamma o a papà.

Sulla base di queste premesse mi scuserete se non ho molto da proporre riguardo ai punti dell’odg “etica professionale”  e “qualità scientifica e valutazione”, il che non significa che consideri le due questioni di scarsa rilevanza. Vorrei invece concentrarmi sul punto “contesto istituzionale e attuazione l. 240/2010” . Vi descrivo il mio di contesto.  Facoltà di Sociologia del prestigioso Ateneo Federico II di Napoli.

Ogni anno accademico nella nostra Facoltà vi sono 1000 nuovi studenti immatricolati fra le due lauree triennali e le due magistrali che gravano su un corpo docente di 45 persone. Mediamente io e i mie colleghi svolgiamo un corso triennale e un corso magistrale  (oscillando tra un minimo di 12 CFU e un massimo di 18CFU, per oltre 100 ore di lezione annue) in aule distribuite in vari sedi, in aggiunta a un corso di 20 ore di terzo livello. Chi insegna al primo anno si ritrova un carico di 500 studenti. A ciò si aggiunge il ruolo di supplenza del personale amministrativo, insufficiente rispetto ai compiti richiesti da una burocrazia sempre più persecutoria. Certamente i carichi didattici e organizzativi sono notevoli dappertutto. Ma in alcuni Atenei lo sono di più e con maggiori disagi connessi alla contesti familiari di provenienza degli studenti che a volte vanno semplicemente socializzati ad una istituzione che appare loro del tutto estranea e incomprensibile nelle sue regole di funzionamento. Quanto pesa nella valutazione della attività svolta dal docente questo oscuro compito da formichina della didattica?  Poco, molto poco. E anche il fatto che  a volte non è possibile prendersi un congedo per motivi di studio neanche per soli tre mesi perché poi chi regge la trave del tetto che sta per crollare?  E quanto conta nella motivazione dei docenti il fatto che la tua studentessa migliore, laureata con 110 e lode,  fa la commessa ed è pure contenta perché le pagano i contributi e non è finita in un call center? Di quale “professione” del sociologo vogliamo parlare? Anche della loro e delle condizioni che ne rendono possibile l’esercizio? Mi auguro di sì.

Il dibattito avviato nelle diverse sedi di confronto dei sociologi – e non solo dei sociologi – potrà risultare utile soltanto se saranno presi in considerazione anche alcuni temi di fondo più generali. Il tema della valutazione della ricerca e della produzione individuale, che oggi minaccia di essere affidata a parametri e a criteri che penalizzano in generale gravemente le  discipline umanistiche. Il tema, connesso, della distribuzione delle risorse  decrescenti nella fase economica e in forza della scelta politica dei tagli lineari.  Il tema, sempre più drammatico, degli squilibri territoriali per la situazione di sfavore o per il trattamento sfavorevole fatto alle Università meridionali specie di grandi dimensioni, poiché negli arbitrari e spesso misteriosi criteri di valutazione si fanno rientrare anche i fattori di contesto territoriale connessi allo stato di disfunzione in cui versa il contesto delle città e degli enti nel Mezzogiorno.  Quanto peseranno ad esempio le tonnellate di immondizia per strada o comunque la scarsità di servizi a Napoli sulla valutazione dell’Ateneo? E’ evidente che bisognerà mobilitarsi su ciascuna di queste questioni e spero che l’incontro di Bologna sia un’occasione per trovare anche delle soluzioni a questi problemi.   



Enrica Morlicchio (Università di Napoli)

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